Il sistema Italia è in missione negli Emirati Arabi Unito per approfondire le opportunità di collaborazione commerciale, industriale e di investimento per le nostre imprese.
Il Paese arabo è costituito dalla federazione dei sette emirati indipendenti di Abu Dhabi, Dubai, Sharjah, Ajman, Umm al Qaiwain, Ras al Khaimah, Furjayrah e rappresenta il 5° paese produttore mondiale di oil&gas e il 3° per riserve di petrolio.
Grazie aduna lungimirante politica di diversificazione dell’economia, osserva il nostro Ministero degli Affari Esteri, il contributo del settore degli idrocarburi alla formazione del Prodotto Interno Lordo è progressivamente diminuito attestandosi oggi intorno al 23% e risulta inferiore rispetto a quello dei servizi, che rappresentano più del 50%.
Sono, inoltre, presenti numerosi parchi industriali e zone franche con l’obiettivo di attrarre investimenti in specifici settori.
Il potenziale del mercato
Viene ritenuto essere davvero notevole in considerazione dell’elevato reddito pro-capite, una ricchezza petrolifera che durerà per i prossimi cent’anni e le condizioni particolarmente favorevoli sia per il commercio che per l’investimento.
Inoltre le relazioni commerciali bilaterali sono in forte crescita: nel 2011 le imprese italiane hanno esportato per 4,7 miliardi di euro e quest'anno l’obiettivo è quello di passare dai 5,5 miliardi di euro del 2012 a 6 miliardi. Con questa missione di sistema cui prendono parte Confindustria, Abi, Ice-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, Unioncamere, RETE Imprese Italia, Alleanza delle Cooperative Italiane, sotto l’egida dei Ministeri Affari Esteri e Sviluppo Economico, si vuole consolidare la presenza italiana negli Emirati e favorire una espansione graduale nei mercati vicini.
Al contempo si vogliono convincere gli investitori locali a credere nel nostro Paese, perché sia l'Italia a costituire il loro punto di riferimento in Europa e nel bacino del Mediterraneo.
I finanziamenti del sistema bancario
Secondo la stima resa nota dall’Abi sui dati dei gruppi bancari più attivi sui mercati internazionali, ammonta a 1,8 miliardi di euro il plafond stanziato dalle banche italiane per finanziare esportazioni, investimenti e nuove attività imprenditoriali negli Emirati Arabi Uniti.
Del plafond complessivo, fino ad oggi è stato impiegato solo il 40 per cento. L’Abi evidenzia allora che esistono ancora ampi margini per finanziare nuovi progetti di business e flussi di esportazioni, sostenendo le imprese che vorranno cogliere le numerose opportunità di investimento di questo mercato. La stabilità politica; un’economia che cresce, sempre più dinamica e diversificata; la prossimità geografica, strategica soprattutto per le nostre PMI, unite ai bassi costi logistici e a un clima favorevole alle attività di business sono solo alcuni degli elementi che rendono gli Emirati Arabi un mercato di grande richiamo per le imprese italiane. Peraltro secondo quanto evidenziato dallo stesso Presidente di Confindustria Giorgio Squinzi la Federazione è già oggi il principale sbocco per l'export italiano in tutta l’area del Mediterraneo orientale e del Nord Africa.
L’Abi ha poi firmato unMemorandum of understanding con la Federazione delle banche emiratine per rafforzare la cooperazione economica e finanziaria tra Italia ed Emirati attraverso una più stretta collaborazione tra i rispettivi settori bancari. Con lo stesso obiettivo, inoltre, l’ABI ha organizzato una tavola rotonda con la Banca Centrale e le altre Autorità di regolamentazione emiratine, a cui hanno preso parte la delegazione bancaria italiana e i principali gruppi bancari locali.
L’importanza del dialogo con la finanza islamica
Il singolo, sia pur significativo, episodio costituisce però l’occasione per una riflessione più ampia.
E’ infatti importante che il nostro sistema finanziario si apra al dialogo anche con il mondo finanziario islamico per attrarre nuovi investitori e riavviare il circuito dello sviluppo economico.
Di rilevante significato in questa prospettiva è anche la collocazione geografica dell’Italia, una vera e propria “portaerei” nel Mediterraneo verso i Paesi della primavera araba.
L'intervento del Governatore Visco
E’ la convinzione manifestata peraltro recentemente dal Governatore della Banca d’Italia nell’ambito delconvegno organizzato dall’Islamic Financial Services Forum.
E’ però necessaria una conoscenza approfondita delle caratteristiche da parte del nostro sistema bancario che si deve dotare degli strumenti operativi necessari per interagire con sistemi finanziari che applicano i principi della Sharia.
Esistono però una serie di nodi ancora da sciogliere per un piena operatività delle banche islamiche in Italia come ha avuto modo di illustrare Ignazio Visco.
Tutte le banche europee, ha evidenziato Visco, hanno l'obbligo di aderire al sistema di garanzia dei depositi mentre i depositi di 'investimento' delle banche islamiche, quelli che seguono il principio della condivisione dei profitti e delle perdite, non possono essere coperti da schemi di garanzia.
Altro problema aperto riguarda la corporate governance; nel nostro Paese il consiglio di amministrazione di una banca è pienamente responsabile per le decisioni del management, responsabilità che non possono, ovviamente, essere 'condivise' con un altro organismo di governance quale e' lo 'sharia board', deputato a verificare la rispondenza ai principi religiosi dei prodotti finanziari della banca.
Il fenomeno della finanza islamica è sicuramente molto interessante; pur rappresentando ancora una dimensione modesta nel panorama finanziario mondiale (1 per cento), cresce con un tasso del 10-15 per cento annuo.
Ma in cosa consiste e quali sono le principali peculiarità? Lo sviluppo è relativamente recente: le prime iniziative strutturate risalgono all’inizio degli anni ’60 in Algeria ed Egitto dove vennero costituite banche islamiche pubbliche (il primo fondo islamico è stato costituito nel 1962 in Malysia, il Pilgrim Fund, la prima banca privata islamica nel 1975, la Dubai IslamicBank,). Il processo subì una netta accelerazione negli anni ’70 dopo lo shock petrolifero e la rivoluzione in Iran e dopo un periodo di rallentamento ha visto una forte reviviscenza dopo il PatrioctAct conseguente all’attacco alle Torri Gemelle come dimostra la “forza” attuale dei fondi sovrani.
I principi della finanza islamica
Il principale aspetto di contrasto con la pratica finanziaria occidentale è il divieto di pagamento degli interessi equiparati all’usura (Riba), fondato sul credo secondo il quale non ci può essere guadagno senza l’assunzione di rischi: il profitto in una visione islamica sarebbe legittimato solo dal rischio; oltre alla Riba sono espressamente vietate pratiche economiche che implicano i concetti di:
- Gharar (irragionevole incertezza, ambiguità)
- Maisir (speculazione)
- Haram (ciò che è esplicitamente proibito dal Corano, ossia attività economiche connesse alla distribuzione e/o produzione di alcol, tabacco, armi, carne suina, pornografia, gioco d’azzardo).
Gli strumenti islam-compatibili
I conti correnti (demand accounts o investment accounts), i conti di deposito, i conti correnti ordinary contraddistinti dal principio al wadiah in base al quale non è prevista alcuna remunerazione per il risparmiatore, i conti di risparmio (premio - hiba- a totale discrezione della banca in relazione all’andamento dei profitti totali della stessa).
Vi sono poi le obbligazioni Sukuk, rese compatibili con il credo religioso con il concetto economico diseparazione; nella versione principale ha caratteristiche simili alle obbligazioni tradizionali (prevede cedole, data di scadenza, rendimento, quotazioni, negoziabilità) ma presenta come sottostante un contratto di leasing immobiliare; il sukuk è cioè basato sull’acquisto di beni immobili che vengono successivamente ceduti in leasing al cliente. Vi sono ancora poi i fondi comuni azionari, i cui settori di riferimento sono diversificati per settore (in particolare immobiliare) e dal punto di vista geografico.
Fonte: Ipsoa