Il provvedimento, che dovrebbe diventare strutturale, costerebbe 550 milioni l'anno.
Il Governo Monti ha dichiarato di voler portare il livello della spesa complessiva in R&S dall'attuale 1,26% del Pil all'1,53% del 2020. Per farlo sarà decisivo riuscire a utilizzare al meglio i fondi messi a disposizione dall'Unione europea
Il nuovo credito di imposta sugli investimenti in innovazione previsto dalla bozza di Dl con la riforma degli incentivi costerebbe oltre 500 milioni di euro l'anno ed è ora al vaglio dell'Economia per il reperimento delle coperture necessarie.
Il bonus fiscale contenuto nel decreto – che è stato messo a punto dallo Sviluppo economico ed è atteso in Consiglio dei ministri la prossima settimana – va incontro alla richiesta di contribuire alla diffusione della ricerca in tutte le imprese, a prescindere dalle loro dimensioni. Nelle intenzioni del Mise il credito d'imposta sarebbe del 30% su ogni spesa in R&S di almeno 50mila euro. Con un tetto, per ogni esercizio fiscale, di 600mila euro.
Tra i costi agevolabili rientrerebbero anche quelli per l'assunzione di personale qualificato con contratto a tempo indeterminato oppure di apprendistato. Più nel dettaglio lo "sconto" ammonterebbe: al 100% per i laureati altamente qualificati in possesso di titolo magistrale in ambito tecnico e scientifico o di un dottorato; all'80% per chi ha una laurea o un dottorato diverso oppure si è diplomato in un Its (Istituto tecnico superiore); al 60% per i diplomati degli istituti tecnici; al 50% per il personale interno oppure per gli assunti a progetto che abbiano uno dei requisiti precedenti.
Il beneficio sarebbe applicabile anche agli investimenti in strumenti di laboratorio o in acquisizione di brevetti. Fermo restando che ne potranno beneficiare tutte le aziende e che – a differenza delle analoghe iniziative avviate nel recente passato – l'incentivo avrebbe un carattere strutturale. Con un costo stimato dai tecnici del dicastero di via Veneto in 550milioni di euro l'anno. Su cui, come detto, l'ultima parola spetterà alla Ragioneria generale dello Stato e al Tesoro.
Ammesso che questo intervento superi indenne il vaglio di via XX Settembre è chiaro che si tratterà solo di un primo passo. Per andare incontro agli altri desiderata degli imprenditori – e cioè concentrare le risorse su grandi progetti cruciali per il Paese e favorire la collaborazione pubblico-privata – probabilmente bisognerà ripensare l'intera politica del finanziamento alla ricerca. Specie se si vuole consentire all'Italia di recuperare il gap accumulato negli anni rispetto agli altri partner, europei e non.
L'obiettivo dichiarato del governo Monti è quello di portare il livello della spesa complessiva in R&S dall'attuale 1,26% del Pil all'1,53% del 2020. Ma come ha ricordato nelle scorse settimane il titolare dell'Istruzione, Francesco Profumo, per vincere questa partita sarà decisivo riuscire a utilizzare al meglio i fondi messi a disposizione dall'Unione europea. In primis gli 80 miliardi del programma "Horizon 2020".
L'auspicio del ministro Profumo è che si faccia tesoro delle cattive performance di spesa del recente passato e si riesca a dare vita a una vera collaborazione tra atenei, imprese e centri di ricerca. Perché, ha sempre detto il responsabile di viale Trastevere, se così non fosse il Belpaese rischierebbe di perdere dagli 800 ai 900 milioni l'anno. E allora sì che quel target dell'1,53% diverrebbe un miraggio.
Fonte: Il Sole 24 Ore